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L' interno

Entrando in chiesa, si ha la sensazione di percepire la stessa luce e cromaticità che probabilmente il canonico Orazio Lupis avrebbe voluto ottenere quando intraprese la trasformazione della fabbrica seicentesca con i decori e volute barocche.
Si percepisce immediatamente di trovarsi davanti ad un impianto a croce latina, ma il transetto è posizionato stranamente all'ingresso.
Come scritto in precedenza, era una chiesa a croce greca trasformata, nella seconda metà del settecento, in croce latina attraverso un allungamento della navata centrale verso il retro.
Guardando verso sinistra troviamo la cappella dedicata a S. Gaetano da Thiene; l'altare in pietra scolpita (già costruito dallo stesso Buonpensiero, poi abbattuto e ricostruito nel settecento con le forme barocche che vediamo), era in uno stato pessimo di conservazione, ma è stato riportato alla sua condizione naturale, evidenziando ogni fregio e decoro.
Quest'altare, così come lo vediamo, fu commissionato dalla famiglia Lupis, come testimonia una lapide posta ai suoi piedi datata 1778, dove si riconosce lo stemma gentilizio. Sul paliotto dell'altare a sarcofago vi è scolpita una croce gigliata, mentre i cantonali recano i due stemmi della famiglia.


Oltre le volute degli stucchi della parete di fondo, ci sono due piccole tele raffiguranti i Santi Pietro e Paolo, che riportano alle statue in facciata (la chiesa era stata dedicata non solo a Santa Maria Consolatrice degli Afflitti ma anche ai due apostoli).


La pala d'altare inscritta in una cornice sempre in stucco, contiene un pregevole dipinto ad olio su tela di autore ignoto, probabilmente del XVII secolo, raffigurante San Gaetano da Thiene con il Vangelo di Matteo aperto su un leggio.


Il fastigio dell'altare ospita una tela del XVIII secolo raffigurante un Ecce Homo di autore ignoto, che si presentava completamente annerito dal tempo e che è stato rimesso in luce dal restauro. Questo dipinto ha sostituito la copia di un pregevole quadro di Bernardo Cavallino che raffigura una splendida Deposizione; ora l' originale è conservato negli spazi episcopali della vicina Cattedrale.


Altri dipinti arricchiscono questo spazio. La parete sinistra della cappella ospita un dipinto della seconda metà del XVIII secolo, attribuito a Vito Calò (1744-1817), allievo di Corrado Giaquinto, noto pittore molfettese di fama internazionale.
Raffigura Sant'Andrea da Avellino in estasi, sorretto da un giovane chierico. L'opera non era quasi più leggibile ma durante il restauro è stato ripulito e trattato per poterlo conservare a lungo.
Lo stesso trattamento ha subito Cristo deriso sulla parete destra, coevo ma di autore ignoto.


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Sulla volta a botte si trova un dipinto a tempera, attribuito a Vito Calò, come gli altri posti nelle volte dei bracci, ed ha come supporto l'intonaco del muro sottostante, che rappresenta Mosè salvato dalle acque del Nilo. Anche in questo caso, forse più che per gli altri, il restauro ha dato alla luce colori e segni stilistici che non erano più leggibili; molte parti di intonaco erano tenute insieme da supporti inchiodati al muro perchè completamente fatiscenti.


Le teche in legno di noce ospitano due statue del XIX secolo: rappresentano San Gaetano da Thiene (a destra) e San Benedetto (a sinistra).



Oltre la cappella di San Gaetano, posto su un angolo del transetto, in prossimità del presbiterio, si trova, addossato alla parete, un pulpito della seconda metà del XVII secolo, in legno intagliato e dorato, a base pentagonale e sormontato da un baldacchino che reca al centro una deliziosa testa d'angelo alata; sotto la volta è posizionata una piccola colomba in volo, sempre in legno dorato, simbolo dello Spirito Santo. I pannelli della parte inferiore sono decorati con motivi a vegetali e sono divisi da pilastrini con cariatidi. Sul pannello centrale sono raffigurate le anime purganti tra le fiamme, motivo chiave di tutte la decorazione nelle zone fondamentali della chiesa.
Sulla porta di accesso al pulpito è collocato un piccolo dipinto della fine del XVII secolo, si tratta del Salvator mundi, un Cristo imberbe in atteggiamento estatico che regge con la mano sinistra un globo crociato ed ha la mano destra leggermente levata in segno benedicente.
L'opera fu donata alla chiesa da Gaetano Lioy Lupis nel 1898, come testimonia l'iscrizione sul retro della tela che reca anche l'ammonimento a non spostare in nessun caso il quadro.


Guardando il presbiterio vediamo l'altare maggiore; è in pietra scolpita, risale al 1777, promesso a Orazio Lupis (canonico della chiesa al tempo) da Vincenzo Pannone napoletano e Vito Azzolino di Bitonto, maestri marmorai che lo costruirono, così come lo ammiriamo adesso, in sostituzione di quello esistente. Anche il paliotto di questo altare è a sarcofago con croce gigliata ed è limitato da volute angolari; la fattura è tipica degli altari settecenteschi con riccioli marmorei e specchiature polimorfe. Davanti l'altare una lastra sul pavimento copre l' accesso a due camere sepolcrali sotterranee.


La parete retrostante ospita l'Addolorata di Vito Calò, modellata sull'omonimo quadro del napoletano Fedele Fischetti (1732-1792) conservato oggi in Cattedrale. Il dipinto, già restaurato nel 1981, è stato ripulito e protetto anche durante quest'ultimo restauro; raffigura la Vergine accanto alla croce che protende la mano verso il corpo del Figlio, sorretto da Angeli. In alto a destra, Dio Padre domina la scena insieme alla colomba, simbolo dello Spirito Santo, mentre in basso a sinistra sono raffigurate anime purganti tra le fiamme.


Sulle pareti laterali del presbiterio si fronteggiano due dipinti del XVII secolo di autore ignoto, in pregevoli cornici in stucco; restaurati nel 1981, oltre che dal recente intervento, raffigurano , a sinistra probabilmente una Predica di San Paolo, a destra la Natività.


Una balaustra marmorea del 1914, data incisa nella parte posteriore, reca i due stemmi di Gaetano Lioy Lupis, e divide il presbiterio dall'aula della chiesa. In occasione del restauro si è provveduto a smontare e rimontare la balaustra posizionandola trenta centimetri indietro rispetto agli stipiti in pietra, di accesso agli spazi laterali, che venivano da questa sovrastati.


Guardando verso destra si ammira lo splendido altare di San Francesco da Paola, commissionato nel secolo XVII dalla famiglia Tortora; chiaro è il loro stemma riprodotto nei capi d'altare.


L'impianto compositivo ripropone quello dell'altare di sinistra ed è sovrastato da una pala opera di Vito Calò che rappresenta San Francesco da Paola in preghiera, inginocchiato su un gradino roccioso. Il dipinto è incorniciato dai pregevoli stucchi, così come in tutta la chiesa, di Michele Cattedra (collaboratore dei fratelli Tabacchi attivi nello stesso periodo nel cantiere della vicina cattedrale, come rilevato dalle ricerche di Corrado Pisani) delimitati da due colonne che reggono una cornice aggettante sormontata da due angeli in posizione ascensionale. Ai piedi dell'altare vi è un'iscrizione sepolcrale del 1758, in cornice modanata e decorata con rosette, in ricordo di Amedeo Lepore, morto nel 1746.

In alto vi è la cupola, impostata su base quadrangolare, il cui tamburo prende forma ottagonale, decorata sempre da cornici in stucco che prendono vita sotto forma di angeli e composizioni floreali; con il recente restauro si è cercato di bonificarla dalle macchie di umidità e si sono ripristinate le parti di intonaco mancanti, restituendole la colorazione che in origine doveva essere propria, rendendola nella sua imponenza e leggiadria cromatica. Termina con il lanternone che la rende stabile, la illumina e crea aereazione. In fase di restauro si è provveduto a sostituire i vetri che chiudevano le bucature ogivali della lanterna con un cilindro di policarbonato trasparente che impedisce le infiltrazioni d'acqua e consente la ventilazione.
Lateralmente all'altare campeggiano due edicole funebri, quella a sinistra è di Francesca Braida, morta di parto nel 1785, commissionata in suo ricordo dal marito, il Barone Carlo Tortora, morto nel 1827, a cui il figlio Emilio dedicò quello a destra. Si tratta di due decori a stucco molto simili tra loro, sono a sviluppo verticale e la parte superiore ospita i ritratti dei coniugi in una cornice ovale, a forma di una ghirlanda sormontata da una palma, sorretti da un angelo e da un leone. Al di sotto vi è un cartiglio che reca un' iscrizione commemorativa e lo stemma della famiglia.



È sempre Vito Calò l'autore dei quadri sulle pareti laterali della Cappella; a sinistra è raffigurata la peccatrice che asciuga con i capelli i piedi di Gesù Cristo, sdraiato su un tavolaccio, mentre a destra è raffigurato San Giovanni Evangelista nell' isola di Patmos, con libro e penna in mano, in basso l'aquila che lo rappresenta nella tradizione iconografica. Sul capo si vede una nube in cui si trova il libro dei sette sigilli e l'agnello immolato.


Anche in questa cappella sulla volta si trova un dipinto a tempera, prima del restauro degradato a causa dell'umidità; rappresenta La vocazione di Mosè. Si vede infatti un roveto ardente (rappresenta Dio che parla) e Mosè che ascolta sorpreso. Anche quest'opera è stata restaurata e fatta tornare, anche se non sono più leggibili tutte le parti.


Un grande gruppo scultoreo dell'Angelo Custode in marmo di Carrara, della seconda metà del XVII secolo, campeggia lo spazio della cappella; in origine si trovava nel presbiterio, posizionato sull'altare maggiore. Pare che facesse parte dell'arredo originario della chiesa. La devozione verso l'Angelo Custode si era diffusa nel Mezzogiorno, grazie ai Gesuiti, all'inizio del XVII secolo e considerando che la chiesa è dedicata alle anime purganti, doveva probabilmente significare una speranza di redenzione nella vita oltre la morte. La scultura è seicentesca, non si conosce quando e per volontà di chi è arrivata in chiesa, pur ritrovandola citata nei documenti frutto della ricerca di Corrado Pisani, che testimoniano la sua presenza sin dal 1699, ed esattamente al 15 maggio, data in cui si registra la visita pastorale del Vescovo Pompeo Sarnelli. Settantotto anni dopo (1777) si fa riferimento alla statua, in occasione della sua pulizia, commissionata ai maestri marmorai Pannone e Azzollino già citati.


All'ingresso della chiesa, sulla parte destra, si trova una edicola con l'acquasantiera marmorea della fine del XVIII secolo, importata da Venezia; il bacino ovale è in marmo rosso di Verona, sorretta al centro da un unico pezzo di marmo giallo oro tornito finemente.
Oltre si trova il monumento funebre eretto dagli eredi di Vespasiano Volpicella, che presenta, al di sopra dell'iscrizione, un bassorilievo con il ritratto del defunto e quattro stemmi gentilizi. Questo in origine si trovava nella pavimentazione davanti all'ingresso, fu poi fatto spostare da Gaetano Lioy Lupis nel 1875 quando venne rifatta la pavimentazione. Ora al suo posto si trova una lapide che attesta lo spostamento.



Sollevando lo sguardo vediamo sull'ingresso la cantoria con l'organo ligneo del 1877, costruito a Napoli da Domenico Petillo, stesso autore dello strumento progettato per la Basilica di S. Domenico in Barletta, decorato con gli stemmi della famiglia di Gaetano Lioy Lupis, così come attesta un' iscrizione collocata sulla sinistra dell'ingresso. Purtroppo questo splendido impianto non è stato oggetto di restauro, ma ha subito solo una leggera pulitura e trattamento per preservarlo dai tarli, in attesa di ulteriori finanziamenti per riportare il manufatto alla originaria finitura


Sulla volta sopra l'organo è ben visibile ancora un'altra tempera raffigurante L' adorazione del vitello d'oro, restaurato, per cui si possono leggere chiaramente i personaggi di Mosè mentre riceve le tavole della legge accanto all'altare con il vitello adorato dagli ebrei.

 
- Il testo è a cura della dott. ssa Cristina Morrone.
- Foto a cura del dott. Francesco Stanzione.
N.B. - Tutte le foto sono proprietà esclusiva dell'autore dott. Franco Stanzione ed è vietato riprodurle senza il suo consenso e/o omettendo di citarne la fonte.

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